Bruno Romano

L’opera di Bruno Romano discute il diritto come fenomeno interpersonale-dialogico, centrato nella coalescenza di logos e nomos.

Il percorso filosofico-giuridico di Bruno Romano si va progressivamente formando, come emerge dai volumi selezionati e qui presentati, nell’arco temporale di oltre mezzo secolo, dal 1969, con la pubblicazione della prima opera Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, al 2020 con le pagine di Civiltà dei dati. Libertà giuridica e violenza.

Si tratta di un itinerario speculativo scandito da riflessioni che segnano il suo percorso di ricerca, dal conseguimento dell’abilitazione alla libera docenza, nel 1968, all’insegnamento presso le Università di Macerata e Firenze. Nel 1981 viene chiamato come professore ordinario di Filosofia del diritto nella Facoltà di Giurisprudenza della ‘Sapienza’, successivamente insegnerà Filosofia del diritto anche nella Facoltà di Giurisprudenza di ‘Roma Tre’.

Proprio nell’Istituto di Filosofia del diritto della ‘Sapienza’, elabora una fenomenologia del giuridico, discutendo del diritto nella sua specificità e mostrando la peculiarità e l’originalità del suo pensiero che si intensifica nelle opere più recenti.

In particolare, il metodo fenomenologico-giuridico, inaugurato da Bruno Romano, marca, in modo costante, la riflessione sul diritto, disvelando il momento iniziale della sua genesi, problematizzata con riferimento alla relazione di riconoscimento e alla coalescenza di logos e nomos che tessono la trama della ragione giuridica, intesa come ragione dialogica, convergente in istituzioni giuridiche imparziali.

In questa direzione, i riferimenti essenziali vanno, ad esempio, alle opere Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di Kierkegaard (1973), Riconoscimento e diritto (1975), Il compimento del soggettivismo come prassi democratica ed estinzione del diritto (1981), Il riconoscimento come relazione giuridica fondamentale (1986), Soggettività, diritto e postmoderno. Un’interpretazione con Heidegger e Lacan (1988), Il diritto tra desiderio e linguaggio (1989), Per una filosofia del diritto nella prospettiva di J. Lacan (1991), oltre che Senso e differenza nomologica (1993) dove si fanno più intensi i rinvii alla struttura costitutivamente relazionale del diritto alla quale è dedicato lo studio Ortonomia della relazione giuridica (1996).

Le questioni essenziali della filosofia del diritto, indagate a partire dalla ripresa costante dei classici del pensiero, approdano al convincimento dell’irriducibilità dell’arte del giurista (ars boni et aequi) ad una mera tecnica indifferente alle questioni umane. Si delineano così le radici della critica al tecnicismo e al nichilismo nelle forme del fondamentalismo funzionale e del formalismo giuridico in lavori come Critica della ragione procedurale (1995), Filosofia e diritto dopo Luhmann (1996), Terzietà del diritto e società complessa, Il diritto non è il fatto (1998), Il diritto tra causare e istituire (2000), Sulla visione procedurale del diritto (2001), Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico (2004), Sulla trasformazione della terzietà giuridica Scienza giuridica senza giurista (2006).

Il nucleo delle riflessioni di Bruno Romano nel decennio che va dal 2010 fino ad oggi è scandito anche dalla pubblicazione del libro Nichilismo finanziario e nichilismo giuridico (2012) che approfondisce l’incidenza sui contenuti del diritto di un potere finanziario, lontano dall’economia reale, sempre più invasivo e tendenzialmente annichilente i contenuti qualitativi del fenomeno giuridico.

Le dinamiche che, da sempre, incidono sul diritto, cercando di oscurare la sua struttura costitutivamente relazionale, sollecitano Bruno Romano a discutere, in tutti gli studi presentati in questa Opera, la necessità di rinviare all’essenzialità della questione empatica nel riconoscimento dei diritti universali e incondizionati, all’affermarsi del principio di uguaglianza nella differenza e alla ricerca del giusto, come esposizione dell’essere umano al rischio della libertà.

Si consolida, nel corso di oltre un cinquantennio di ricerca, il pensiero sulla specificità genealogica del diritto e sulla distinzione rispetto ad altri fenomeni sociali, discussa e problematizzata nella critica alla potenza della tecnica, fisiologotecnia, declinata nel lavoro Algoritmi al potere (2018).

La questione della tecnica, nell’attuale forma della digitalizzazione algoritmica, è elemento prodromico al vortice nichilistico che incide sul diritto come spinta verso la trasformazione del giurista in tecnico delle norme, ‘coscienza astante’ dell’attualità digitale che trasforma il ‘giuridico’ in qualità di ‘datità normativa’ autoreferenziale, come emerge dall’ultimo lavoro Civiltà dei dati (2020), dove l’essere umano è analizzato come un ente funzionale, ‘agente informazionale interconnesso’,

In una sorta di originale circolarità speculativa, i problemi affrontati nelle prime opere sono ripresi, secondo un’interpretazione attenta alle dinamiche sociali del narcisismo individuale e collettivo, in Relazione e diritto tra moderno e postmoderno (2013), diventando nucleo del diritto nel suo rapporto con l’intelligenza artificiale, come emerge, in particolare, nelle pagine del libro Dalla metropoli verso internet (2017) e in Ingiustizia radicale e narcisismo (2019) dove ritorna, con forza, l’esigenza di un legalità giusta.

 

PIANO DELL'OPERA

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